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13 aprile 2009

Il cranio abelisauride, molto più che solo comportamento predatorio...

Perché gli abelisauridi hanno crani così bizzarri? Quali processi evolutivi, adattamenti e vincoli morfologici sono alla base della loro anatomia cranica? L’approccio convenzionale tende a focalizzarsi su una sola domanda, a sua volta prodotto di un’impostazione mentale stereotipata, la quale parte dall’abusata equazione: “Theropode = Dinosauro Carnivoro”. Chi, tra gli appassionati di theropodi, non tende quasi sempre a interpretare questi animali partendo dalle solite domande: “quali erano le sue prede?” oppure “di cosa si nutriva?” o anche “come cacciava?”.

Non sto dicendo che queste domande sono inutili, sto solo suggerendo ai miei lettori di essere un po’ più aperti mentalmente, meno miopi e stereotipati nel pensiero, e di cercare di esplorare il problema seguendo strade meno battute ma nondimeno plausibili. Spesso, la soluzione di un problema si raggiunge affrontandolo in maniera nuova.

Partiamo da una scoperta avvenuta negli anni ’70 del secolo scorso. In Madagascar si rinvenne un frammento cranico di età cretacica. Per quanto frammentario, l’esemplare era chiaramente un tetto cranico, proveniente dalla regione fronto-parietale. Un aspetto interessante di questo frammento era l’ispessimento marcato delle ossa stesse, che indicava una calotta cranica molto compatta ed espansa. Tra i rettili del Cretacico, una tale caratteristica espansione delle ossa craniche è tipica di un gruppo di ornithischi laurasiatici, i Pachycephalosauria. Sulla base di queste caratteristiche, fu istituito un nuovo genere di Pachycephalosauro, il primo dal Gondwana, Majungatholus atopus.

Circa venti anni dopo, ricerche dettagliate in Madagascar portarono alla scoperta di esemplari molto ben conservati di theropodi. In particolare, furono scoperti nuovi e più completi resti di abelisauri. In particolare, un cranio completo di abelisauride dimostrò che la calotta cranica di Majungatholus non apparteneva ad un pachycephalosauro, bensì ad un abelisauride. Majungatholus era un abelisauride. Successivamente, analisi più dettagliate stabilirono che Majungatholus era in realtà il sinonimo di un altro theropode del Madagascar, fino ad allora noto solo da resti mandibolare frammentari ma nondimeno diagnostici, Majungasaurus. In conclusione, Majungatholus non è né un pachycephalosauro né un animale nuovo, bensì un sinonimo dell’abelisauridae Majungasaurus (per tutti i dettagli della storia di Majungatholus-Majungasaurus, vi rimando a Sampson & Krause, 2007)

Cosa ci insegna questa storia contorta di errate interpretazioni e ri-classificazioni tassonomiche? Io sono rimasto colpito dalle analogie fronto-parietali tra abelisauridi e pachycephalosauridi: mi rendo conto che è facile cadere in errore cercando di classificare un resto frammentario, nondimeno, l’errore interpretativo, in quanto motivato e giustificato, segnala l’esistenza di somiglianze e convergenze, che hanno agito come trappole per i ricercatori.

Aldilà delle ovvie differenze tra un ornithischio marginocefalo e un theropode ceratosauro, i due gruppi condividono delle specializzazioni craniche ed appendicolari:

-La regione fronto-parietale è fusa, ispessita e compatta.

-Il cranio presenta ornamentazioni ossee ed ispessimenti attorno all’orbita e nella zona frontale.

-L’arto anteriore è molto ridotto, probabilmente a funzionalità vestigiale.

La spiegazione più plausibile che riesco a dare delle somiglianze tra i due gruppi non può risiedere in adattamenti alimentari comuni, dato che è improbabile che i pachycephalosauri fossero predatori come gli abelisauri (non escludo che potessero essere onnivori, ma comunque, è improbabile che le somiglianze con gli abelisauri siano l’effetto di pressioni alimentari simili). Se escludiamo l’adattamento alimentare e non vogliamo cercare ipotesi bizzarre e difficilmente testabili di adattamenti ambientali ed ecologici, la spiegazioni più elegante e robusta di questi caratteri è la selezione sessuale. La competizione per le femmine e la probabile scelta di queste ultime hanno plasmato i corpi di questi animali, producendo bizzarre elaborazioni craniche, ispessimenti ossei e la riduzione dell’arto anteriore. Questo ultimo carattere può essere legato all’evoluzione di una marcata territorialità e bellicosità in animali bipedi: se ammettiamo che le lotte tra maschi fossero basate su colpi e scontri della testa e su morsi (come accade in molti animali attuali come ippopotami, elefanti marini), è chiaro che questi colpi si concentrassero nella zona anteriore del corpo, quella maggiormente esposta all’avversario. Per un animale già perfettamente bipede, ridurre l’arto anteriore comportava vantaggi, come una minore esposizione all’avversario di parti corporee danneggiabili, ed inoltre permetteva di sviluppare una testa ed un collo più massicci a parità di massa del corpo, senza modificare il baricentro corporeo.

Attualmente, non disponiamo di numerose popolazioni fossili per alcuna specie di pachycephalosauro o abelisauride per verificare se e quanto fosse presente il dimorfismo sessuale, tuttavia, le prove indiziarie sembrano portarci in quella direzione. Per una discussione dell’ipotesi della selezione sessuale nei pachycephalosauri rimando a Carpenter (1997).

Ovviamente, queste modifiche corporee, guidate dalla selezione sessuale, si intrecciarono con gli adattamenti predatori degli abelisauri, plasmando un compromesso tra le necessità della predazione e le potenti pressioni della selezione riproduttiva.

Bibliografia:

Carpenter K., 1997 - Agonistic behavior in pachycephalosaurs (Ornithischia:Dinosauria): a new look at head-butting behavior. Contributions to Geology 32 (1): 19–25. link

Sampson S. D. & Krause D.V. (eds.), 2007 - Majungasaurus crenatissimus (Theropoda: Abelisauridae) from the Late Cretaceous of Madagascar. Society of Vertebrate Paleontology Memoir 8: 1-184; supplement to Journal of Vertebrate Paleontology 27(2).

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