(Rough) Translator

31 agosto 2014

Playing with Tyrannosaurs

La Tafonomia è la Cenerentola della Paleontologia. Bistrattata, dimenticata, emarginata, quando del tutto ignorata, essa è invece la Regina della nostra disciplina, senza la quale il mondo paleontologico sarebbe caos, anarchia, invaso da mitologie e superstizioni. In numerose occasioni, in questo blog, ho rimarcato come l'indagine su un fossile, in particolare per determinare informazioni su fenomeni raramente fossilizzabili, debba sempre partire dall'analisi tafonomica: ovvero, l'analisi delle condizioni fisiche, ambientali, geologiche che portano alla formazione e manifestazione del fossile. L'analisi tafonomica in un fossile è sempre prioritaria rispetto ad inferenze biologiche, per l'ovvio motivo che un fossile è prima di tutto un oggetto geologico formatosi in un contesto geologico. Dimenticare la tafonomia e guardare un fossile come se fosse un resto di animale morto oggi, quindi come se fosse un oggetto esclusivamente biologico, è il peccato originale di molta “paleobiologia” (spesso enfatizzata dai media), che non esito invece a chiamare “paleo-mitologia”.
Il caso di oggi mi pare un classico da manuale del “come fare paleo-mitologia”. Non se la prenda l'autore dello studio, ma dopo aver letto l'articolo che sto per citare, non ho potuto evitare la famosa frase fantozziana sulla corazzata Potemkin.
Rothschild (2014) discute di alcuni resti ossei isolati di dinosauri recanti segni di morso interpretabili come lasciati da theropodi (in particolare, Tyrannosauridi) e, usando un ragionamento deduttivo tratto dall'analisi del comportamento di predatori attuali, conclude che quei segni di morso non furono prodotti durante la consumazione di quelle ossa (ovvero, come segni lasciati da un predatore o saprofago su una carcassa), bensì sarebbero interpretabili come prova che quello specifico theropode giocò con quell'osso. In breve, Rothschild (2014) ritiene che sia possibile identificare prove di un comportamento ludico in un fossile mesozoico.
Prima che qualcuno, affascinato dall'ipotesi di un Tyrannosaurus che gioca con un osso di dinosauro, mordicchiandolo come farebbe un cane con la propria palla, possa schierarsi anima e cuore con questa idea, va chiarito subito un aspetto epistemologico fondamentale: il problema se i dinosauri in vita giocassero ed il problema se i fossili attuali conservino prove di gioco sono due problemi separati. Si può discutere per ore, in base ad analogie, comparazioni ed inferenze neurologiche ed etologiche tra dinosauri ed animali viventi, se l'ipotesi del gioco nei dinosauri sia plausibile o meno. Quello è il “problema astratto” sul gioco, ovvero, una discussione puramente teorica, quasi filosofica. Difatti, se non prende in considerazione le prove dirette, mi pare un problema più filosofico che scientifico. Il secondo problema, che è quello su cui invece vale la pena discutere, è chiaramente paleontologico: ovvero, se effettivamente esistano (o possano esistere) fossili che mostrino prove di gioco, e se il gioco sia un comportamento in grado di lasciare tracce fossili identificabili in modo non-ambiguo. Spero che la distinzione sia chiara. A me non interessa discutere del gioco in “modo astratto”. La mera inferenza filogenetica, in questo caso, è irrilevante. Prima di tutto, per affermare il gioco nei dinosauri, occorre chiarire se e come il gioco possa fossilizzare, ovvero, se quel fenomeno sia incluso nell'ambito di azione della scienza paleontologica, la scienza dei fossili. Ed è qui che l'argomento di Rothschild (2014) fallisce per la debolezza delle sue argomentazioni sul piano tafonomico.
Rothschild (2014) parte da una domanda: tutte le tracce di morsi nei fossili sono tracce dovute ad un comportamento alimentare (ovvero, morsi lasciati sulle ossa per strappare tessuti commestibili)? Ovviamente, no: ad esempio, abbiamo morsi lasciati tra animali che, probabilmente, erano in lotta tra loro, morsi con segni di rigenerazione dell'osso che implicano che quell'animale non era morto quando ricevette il morso. Questo primo passo logico quindi permette di ammettere comportamenti non-alimentari come causa di segni di morso in ossa. Permette, ma non implica.
Il secondo passo del ragionamento di Rothschild (2014) è quello di chiedersi se alcune aree dello scheletro siano evitate dai predatori quando consumano una preda. Ad esempio, i piedi, formati in larga parte da ossa e tendini, sono poco appetibili e, quindi, tendono ad essere evitati da animali che consumino una carcassa. Questo ragionamento, tuttavia, non permette di generare una regola generale. Ad esempio, anche se i piedi sono evitati da un animale che consuma una carcassa intera e ricca di carne, divengono appetibili quando la carcassa è già stata ampiamente spolpata: un saprofago affamato che arrivi in ritardo al banchetto è capace di mangiare anche i piedi se quello è ciò che rimane da consumare. Inoltre, alcuni fossili di theropodi (ad esempio, l'olotipo di Sinocalliopteryx) mostrano che anche i piedi erano consumati, ingoiati e quindi, eventualmente, oggetto di morsi (nel caso del Sinocalliopteryx, la gamba intera di un microraptorino, con anche i piedi, era presente nell'addome del predatore).
Inoltre, Rothschild (2014) ritiene che il comportamento alimentare sia da escludere quando queste ossa “non appetibili” e con segni di morsi siano rinvenute isolate e non associate a carcasse. Il ragionamento, in questo caso, è il seguente: se un animale trova un osso isolato (e quell'osso non è “appetibile” perché proviene da parti anatomiche prive “di carne”) e morde quell'osso, allora lo farà per motivi non-alimentari. Anche qui, il ragionamento è basato su un'errata analogia etologica e dimenticando di ragionare tafonomicamente: il fatto che un osso fossile con segni di morso sia rinvenuto isolato oggi non implica che, in origine, quei morsi furono lasciati quando l'osso era già isolato dallo scheletro. Generalmente, un osso fossile isolato indica che la carcassa fu smembrata (da vari agenti: dai saprofagi all'acqua di un fiume), ma è difficile – se non impossibile – stabilire se i morsi nell'osso furono inflitti prima o dopo che la carcassa fu smembrata e disarticolata. Pertanto, non si può leggere “alla lettera” quell'osso e concludere che isolamento dell'osso fu precedente al morso sull'osso, e quindi non si può interpretare quel fossile come prova di “comportamento su un osso isolato non appetibile”.
Tuttavia, Rothschild (2014) pare non considerare queste obiezioni, e quindi conclude che i segni di morso in regioni scheletriche “non appetibili” non possano essere interpretati come segni di consumazione e che, “di conseguenza”, la spiegazione di tali morsi debba essere cercata in comportamenti non-alimentari, ad esempio, comportamenti privi di effettiva finalità pratica, che, nell'ambito dell'etologia (dei viventi) sono inclusi nell'ampia categoria dei comportamenti ludici.
Ovvero, la logica che fonda l'ipotesi di Rothschild (2014) è: segni di morsi in ossa – i quali non sono plausibili come segni di consumazione – sono invece interpretabili come segni lasciati da un animale che stava giocando con quell'osso.
No. Il ragionamento non regge.
L'esempio principale portato da Rothschild (2014) è a mio avviso paradossale della inconsistenza logica ed empirica di questa ipotesi. Esistono numerosi condili occipitali isolati di ceratopside con segni di morso: Rothschild (2014) sostiene che il condilo occipitale non sia una parte anatomica appetibile, e che quindi morsi in quella zona del cranio siano non-alimentari. Ciò è paradossale, dato che il condilo occipitale articola il cranio con il collo, ed è circondato dai muscoli che connettono collo e testa, sia quelli che si inseriscono nella nuca che quelli che si connettono al basicranio. Il condilo occipitale è proprio il punto di attacco della testa: chiunque voglia staccare una testa da un corpo deve praticare una serie di tagli che hanno una buona probabilità di colpire il condilo occipitale. In breve, l'idea che il condilo occipitale non sia target di morsi alimentari è ridicola.
Inoltre, e qui torno a onorare Sua Maestà Tafonomia: il condilo occipitale è, per sua natura, un osso ideale a preservarsi isolatamente, dato che è molto robusto e di forma arrotondata, e quindi ha la tendenza a rotolare via e a conservarsi a lungo anche dopo che la carcassa è stata smembrata e disarticolata: pertanto, è molto probabile che si rinvenga isolato dalle altre ossa, trascinato lontano dagli agenti fisici. Chi ha ben chiara la tafonomia di queste ossa, non si stupisce di rinvenire un condilo occipitale isolato, e non ha bisogno di qualche bizzarra ipotesi per spiegare il ritrovamento di condili occipitali isolati.

Concludendo, indipendentemente dall'argomento “astratto” sulla presenza o meno di comportamenti ludici in animali estinti, l'argomento “empirico” di Rothschild (2014) pecca di ingenuità e iper-semplificazione. In particolare, la quasi completa assenza di analisi tafonomica e di argomentazioni tafonomiche sull'origine di questi fenomeni, esclude questa ipotesi dall'ambito della paleontologia (la scienza dei fossili), relegandola all'ampio insieme delle bizzarre speculazioni sugli animali del passato.
La speculazione è un gioco, ma la paleontologia è altro.

Bibliografia:
Bruce M. Rothschild (2014) Unexpected behavior in the Cretaceous: tooth-marked bones attributable to tyrannosaur play, Ethology Ecology & Evolution. DOI: 10.1080/03949370.2014.928655

4 commenti:

  1. Premetto che il primo impatto è stato il riso, ma poi ho pensato su come sia possibile pubblicare un articolo che può essere subito smentito così facilmente. Ci possono essere altri fattori anche solo biologici, senza considerare la tafonomia (che rimane tuttavia l'argomento principale per smontare l'ipotesi), oltre al "gioco" e alla predazione/saprofagia, sempre di natura nutrizionale: a me viene in mente ad esempio il caso delle giraffe che masticano le ossa per carenze alimentari. (E poi mi torna in mente l'immagine del cane che mastica le ossa per arrivare al midollo. XD) Si tratta comunque di condiderazioni che riguarderebbero la dieta dell'animale che ha morso le ossa e non si possono fare analisi su di esso perché non si conosce l'individuo. Sembrerebbe quindi davvero grossolana come interpretazione, un po' campata per aria, anzi sembra buttata lì per fare clamore. L'articolo non l'ho ancora letto, ma questa è la mia prima impressione dal tuo post. E mi chiedo: ma non esiste la revisione prima della pubblicazione? Comunque dovrò davvero leggerlo per farmi un'idea...So soltanto che mi sono immaginato un T. rex che si portava dietro la zampa di una carcassa come la coperta di Linus...
    Jacopo

    RispondiElimina
  2. "Il secondo passo del ragionamento di Rothschild (2014) è quello di chiedersi se alcune aree dello scheletro siano evitate dai predatori quando consumano una preda. " A prescindere che basarsi sull'etologia degli animali attuali è sbagliato e/o ingenuo, comunque la vogliamo mettere, in ogni caso ha studiato male la parte. Porto l'esempio di cosa fece il mio gatto: un giorno lo sentii che stava masticando qualcosa sotto il tavolo, mi abbassai e vidi che stava mangiando un passero domestico catturato sul terrazzo. Arrivato alla fine rimasero solo le zampette, per la precisione le dita con la tibia fino al ginocchio (più o meno). Ebbene si mangiò pure quelle e con gusto. Non avanzò nulla, nemmeno una piuma. Il bello è che aveva appena finito di mangiare e anzi aveva lasciato li del cibo perchè non gli andava, segno evidente che l'istinto "assassino" del predatore prevalse.
    Alessandro (Bologna)

    RispondiElimina
  3. Spero che la mia domanda non appaia stupidamente ingenua ma come è possibile che l'articolo abbia superato la peer review? Io non sono del settore ma ho capito con facilità le tue spiegazioni sulla inconsistenza delle argomentazioni dell'autore. Capisco anche che talora si facciano ipotesi che non possono essere nè provate nè negate sulla base delle prove, ma quando le prove stesse sono usate per costruire, in maniera logicamente fallace, l'ipotesi stessa, come é possibile che gli addetti alla valutazione dell'articolo non l'abbiano notato? Ciao e grazie

    RispondiElimina
  4. 1- Il peer review non è perfetto... come sa chiunque abbia avuto revisioni tutt'altro che "oggettive"...
    2- La rivista in cui è stato pubblicato non è paleontologica, quindi escludo che gli editori abbiano il background ideoneo per notare quello che ho notato io.

    RispondiElimina

I commenti anonimi saranno ignorati
-------------------------------------------------------------
Anonymous comments are being ignored
-------------------------------------------------------------